La scommessa spagnola: puntare sul gioco per combattere la crisi!

La scommessa spagnola: puntare sul gioco per combattere la crisi!
Madrid e Barcellona il futuro del gambling europeo?

 

Mentre in Italia il Decreto Balduzzi, approvato lo scorso 5 settembre dal Consiglio dei Ministri, sembra essere ancora lontano dal trovare la sua forma definitiva, sulle sponde occidentali del Mediterraneo la diatriba sul gioco d’azzardo sembra essere approdata su ben più ospitali lidi. Nel maggio scorso avevamo già affrontato sul nostro blog la “Questione Spagnola”, interpretando l’improvviso e apparentemente inspiegabile inasprimento della legislazione iberica, usando coma chiave di lettura Sheldon Adelson ed il suo faraonico progetto. Oggi sappiamo che quello che sembrava essere l’ennesimo delirio di un miliardario, potrebbe diventare presto una concreta realtà. Dopo il ballottaggio Madrid-Barcellona, ennesima riproposizione del dualismo che da sempre contrappone Castigliani e Catalani, il 79enne imprenditore statunitense avrebbe scelto la capitale come sede delle nuova Las Vegas europea. A fare la differenza, sembra, la maggiore “flessibilità” del governo locale madrileno, più disponibile di quello catalano a compromessi normativi in materia di immigrazione e legge sul fumo.

Nei prossimi anni, a partire dal 2016, una pioggia di euro potrebbe cadere su Alcorcón, nell’area metropolitana sud-est di Madrid, che serviranno a dar vita a 6 casinò, contornati da una dozzina di strutture per l’hospitality, campi da golf e addirittura uno stadio. Si parla di cifre da capogiro: 17 miliardi da parte della Las Vegas Sands Corporation di Adelson, altri 18 a carico del Governo centrale spagnolo e di quello castigliano, ma voci attendibili parlano di un investimento americano, pari solo al 35% del totale. Comunque andranno ripartiti gli oneri dell’impresa, una cosa sembra certa: in tempo di crisi e in una economia come quella spagnola, al collasso dopo lo scoppio della bolla della speculazione immobiliare, la nuova Las Vegas potrebbe rappresentare un punto di rinascita. Al termine di un decennio di lavori e a pieno regime, infatti, il gigantesco complesso potrà ospitare 10milioni di turisti ogni anno, creando oltre 250mila nuovi posti di lavoro, per un fatturato che, nelle previsioni di Sheldon Adelson, dovrebbe ammontare a circa 30miliardi di euro. Per qualcuno questi sono semplici vaneggiamenti di uno speculatore, un’impresa destinata a fallire, trascinando ancor più in basso il già “inguaiato” popolo spagnolo. Eppure i precedenti sono decisamente confortanti: nel 1991 Adelson, “folgorato sulle calli di Venezia” durante la sua seconda luna di miele, rase al suolo il leggendario Sands di Las Vegas, per far sorgere il Venetian. Tra il 2004 e il 2007 ha realizzato grandiosi e fortunati investimenti tra Macao e Singapore, con cifre che superano abbondantemente i dieci zeri!

In attesa di avere maggiori dettagli e conferme sul suo destino, questo ambizioso progetto ha già avuto il primo effetto benefico. Bocciata senza appello dal venerando americano, la Catalogna non ha tardato a far arrivare la propria risposta. Una cordata di “paperoni” nostrani, con forti agganci in Sudamerica, è pronta a rilanciare la sfida alla capitale con il “Barcelona World”: un mastodontico parco divertimenti, diviso in sei aree tematiche che rappresenteranno altrettante zone del mondo (Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, Brasile e India), completo di casinò, hotel e teatri. Quasi 5miliardi di euro sul piatto, per restituire a Barcellona il ruolo di “capitale del turismo iberico” e a consolidare la solidità del disegno, spuntano i nomi de La Caixa (la Cassa di Risparmio di Barcellona), il presidente della Catalogna Artur Mas e Enrique Baluelo, il re del boom immobiliare spagnolo di qualche anno fa.

Lungi dal voler entrare nel merito della questione etica, un’osservazione sorge spontanea. Mentre in Italia si discute animatamente (e giustamente) del problema “socio-sanitario” del gioco, mascherando interessi economici con un meschino moralismo, a pochi chilometri da casa nostra, in un Paese che con noi condivide le medesime radici culturali e la medesima (se non peggiore) situazione finanziaria, si tenta un approccio completamente diverso, proiettato verso lo sviluppo e quella tanto agognata crescita. Certo qualcuno potrebbe obiettare che fare del gioco un motore per l’economia rappresenta un vile e immorale sciacallaggio ai danni dei più deboli, ma personalmente resto sempre convinto che il cieco proibizionismo renda fertile il terreno per interessi criminali. In più, dopo approfondite e prolungate letture, comincio a diffidare della buona fede di tanti apostoli della crociata contro il vizio: troppe volte ho letto la frase “costi per la comunità” e “copertura finanziaria” per poter credere ad un totale, amorevole disinteresse.

Ai detrattori del gioco mi piacerebbe fare una sola domanda: siete così sicuri che per controllare le derive patologiche della dipendenza da gioco, la soluzione sia relegare le sale nei sobborghi delle nostre città?

Se la risposta è sì, smettiamo di chiederci perché l’Italia non attrae più investimenti dall’estero e continuiamo a nascondere la polvere sotto i tappeti.

 

 

 

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