Nuove falle nel decreto Balduzzi: la Cassazione mette ordine nel caos normativo.

Nuove falle nel decreto Balduzzi: la Cassazione mette ordine nel caos normativo.
I locali pubblici tirano un sospiro di sollievo!

Nel giugno scorso, quando la diatriba tra sostenitori e detrattori del gioco era all’ordine del giorno, quando lanciare anatemi contro il demone dell’azzardo era in voga nei salotti buoni e si pensava che, focalizzando la rabbia degli italiani contro tale mostro, li si potesse distrarre da problemi più contingenti, avevamo affrontato su questo blog un argomento che, più di altri, ci toccava da vicino. Quella del divieto di messa a disposizione presso qualsiasi pubblico esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco, contenuto nel DL Balduzzi (Capo II, art. 7 comma 3-quater). Al di là di ogni teorico giudizio di merito, nel pratico tale divieto minacciava di danneggiare pesantemente tutte quelle attività commerciali, quelle microimprese rappresentate da bar, tabaccherie, internet point che affiancano all’attività “tradizionale”, i servizi dei PDC e PVR.

 

Una sentenza del Tribunale di Teramo aveva messo in luce l’inapplicabilità del divieto in questione, assolvendo ben due esercenti accusati di aver permesso ai clienti di accedere a piattaforma di gioco online, tramite le postazioni internet installate nei propri locali.

La motivazione della sentenza spiegava che il titolare di un esercizio non può, pena la violazione della legge sulla privacy, controllare cosa fanno i propri clienti con i pc messi a disposizione del pubblico. In sintesi: per rispettare una legge, bisognava violarne un’altra.

 

A distanza di tre mesi una nuova sentenza (1° ottobre 2013), ben più pesante perché emessa dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, conferma che “La sola predisposizione […] di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco […] non configura la contravvenzione…” Perché si configuri un ipotesi di reato, spiega la Corte, è necessario dimostrare che l’esercente non solo metta a disposizione i computer/terminali telematici, ma sia anche “l’organizzatore” del gioco e della raccolta.

 

Ancora una volta tempo perso per demonizzare il gioco e gli operatori del settore. Non sarebbe più facile e meno dispendioso legiferare in modo più attento?

 

 

 

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