Paolo Lobefaro, un’adolescenza spezzata, un talento immenso per il poker

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 Paolo “tzunami” Lobefaro

 solleva il ventaglio d’oro

 della terza tappa del PPT:

 per il ragazzo pugliese è il trionfo

 

 

 

 

“E’ successo il finimondo, un terremoto”. Così attacca il Corriere della Sera il 24 ottobre del 2005. Nelle Murge è passata l’Apocalisse. I fiumi sono in piena, e un ponte crolla. Sopra c’erano due auto, e su una delle auto c’era Paolo Lobefaro, il trionfatore del nostro PPT. E’ rannicchiato fra i tre fratelli, alla guida c’è papà, di fianco la mamma. Sopravvive solo lui.

Gli anni successivi, per Paolo, sono il lento e faticoso emergere da una tragedia tanto più grande della sua adolescenza fino a lì spensierata. Il ragazzo ha solo 15 anni, e dovrà diventare uomo troppo in fretta. Ci riesce. Vive con una nonna, poi con uno zio. Poi, neppure maggiorenne, se ne va per conto suo. Conosce una ragazza, e s’innamora. Studia, e si diploma ragioniere, perché ama far di conto. Intanto impara il poker, lo affronta come se fosse un teorema, una partita doppia da giocare col pallottoliere. Le prime lezioni gliele dà Vito Erasmo Labarile, compaesano e vecchia conoscenza. Il campione di Santeramo in Colle intuisce che il ragazzo trabocca di talento: lo arruola nel suo gruppo, gli insegna tutto quel che sa, poi lo manda in pista. I risultati sono lì, sotto i riflettori di un palcoscenico allestito nel casinò di Budva, quando il Paolino oramai nazionale vince l’ultima mano contro il grande Ghisl, annichilito da un gioco potente e irresistibile. E’ il destino, forse, che restituisce al ragazzo della Puglia l’infinitesima parte di quello che gli ha tolto. Se poi ci sia stata una mano dal cielo, questo non possiamo dirlo: ma siamo sicuri di sì.

 

 

 

 

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