Accordi tv saltati
e cash out in affanno:
questi i primi risultati
nonostante lo sblocco dei domini
A dieci giorni dal terremoto che ha sconvolto il mondo del gioco online d’oltreoceano, in quello che è stato universalmente ribattezzato il “Black Friday” del poker americano, tra incertezze e reciproche accuse, sembra che la retata dell’FBI e la conseguente sospensione dei maggiori siti “.com”, abbia sortito un solo effetto certo: l’incremento del gioco live. Le case da gioco non sono ancora in grado di fornire dati certi sull’impennata dell’afflusso di giocatori che, impossibilitati a giocare in rete e nonostante il “congelamento” di molti conti, si sono precipitati ai tavoli dei casinò Caesars, MGM e Bellagio. L’inaspettato riflusso sembra aver colto di sorpresa le stesse case da gioco, che improvvisamente si sono trovate a dover adeguare la propria offerta per far fronte alla domanda sempre crescente di nuovi player provenienti dalla rete.
Nel frattempo, sul versante della diatriba “FBI / .com”, l’unica certezza è che le autorità hanno autorizzato le poker room coinvolte nell’operazione a procedere con il rimborso per i giocatori i cui conti gioco erano stati preventivamente congelati. Il problema, ora, sembrerebbe essere la mancanza di liquidità da parte di alcune piattaforme, che dopo dieci giorni di blocco degli affari, non riuscirebbero a far fronte alla richiesta di cash out da parte dei propri (ex) giocatori. Il Governo statunitense, infatti, non ha ancora indicato le modalità per i rimborsi e anche per questo i toni della discussione si alzano, in un turbinio di reciproche accuse che non lascia prevedere una rapida soluzione. Dopo i mandati di cattura e la diffusione dei pesantissimi capi d’accusa, hanno parlato i “pezzi da novanta” delle società incriminate, rilasciando dichiarazioni alle maggiori agenzie di stampa internazionali. Eppure, rileggendo le parole del ministro delle finanze di Antigua (sede di Absolute Poker) e del consulente legale della stessa nazione caraibica, sembra che per ora la strategia di difesa, piuttosto che sostenere la correttezza dei propri affari, sia quella di scagliarsi contro il proprio accusatore (nella fattispecie l’FBI) insinuando una violazione delle regole del WTO (World Trade Organization) da parte delle autorità americane. Una strategia che sembra abbia come unico scopo quello di prender tempo, in attesa di dare quelle risposte che milioni di giocatori attendono da giorni.
Per ora, nonostante lo sblocco degli URL di due delle tre “.com” (Poker Stars e Full Tilt), l’accesso alle piattaforme incriminate rimane ancora precauzionalmente interdetto ai giocatori italiani, come ci ricorda l’avviso dell’AAMS quando tentiamo di accedervi. Segnale questo sicuramente rassicurante per i nostri connazionali, ma che indica quanto si sia ancora lontani da una soluzione. Il richiamo al WTO, infatti, più che scagionare le tre società, sembra un disperato tentativo di sollevare una sorta di “conflitto di attribuzione”, dal momento che nessuna delle poker room ha sede in USA. Absolute Poker, come già detto, risulta caraibica, Full Tilt fa capo al Regno Unito mentre PokerStars.com ha sede legale a Malta, proprio come la “.it”. Il problema ora, fermo restando la presunzione di innocenza, è stabilire se una società commerciale che commette reati gravi come il riciclaggio, la frode fiscale, e la cospirazione in un Paese straniero rispetto a quello in cui la stessa ha sede legale, abbia commesso reato o meno, indipendentemente dalle competenze a giudicare. Ai giocatori e agli appassionati di poker poco importa se le tre società abbiano violato le regole l’UIGEA (la legge americana per combattere il gioco illegale) o quelle del WTO, oppure se, pur avendo violato le prime, vengano assolte in nome delle seconde… ciò che interessa a giocatori e agli appassionati è sapere se, quando giocano su un sito di poker online, i propri soldi vengono utilizzati per scopi moralmente (oltre che legalmente) esecrabili, come garantire alla poker room a cui si è iscritti, di poter contare su una spropositata disponibilità di capitali illecitamente accumulati, per poter finanziare campagne mediatiche in palese violazione delle più comuni regole della libera concorrenza. Lungi da noi giungere a frettolose conclusioni o emettere prematuri giudizi, ma è bene ricordare che storicamente il Southern District del Dipartimento di Giustizia di New York, le cui incriminazioni si concludono in gran parte con patteggiamenti, non è uso lanciarsi in all-in su draw, per cui è facile presumere che abbia aspettato di avere in mano monster cards, prima di mandare la vasca! Una metafora pokeristica per dire che il famigerato Distretto Sud del D. di G. di New York difficilmente si espone prima di aver raccolto prove schiaccianti. L’atteggiamento di molti casinò e network di settore è sintomatico: accordi commerciali interrotti e sponsorizzazioni televisive saltate lasciano intendere che il mondo del poker potrebbe già aver emesso i primi verdetti.
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m.