Un nuovo capitolo è appena stato scritto sulla travagliata storia del DL Balduzzi. Un nuovo appassionante episodio di quella che ormai sembra una telenovela che, grazie a continui e banali colpi di scena, al classico stratagemma del “riciclo di personaggi” usciti di scena e ad intrecci al tempo stesso contorti e prevedibili, porta avanti una trama troppo scontata solo perché gli autori non hanno ancora trovato un degno finale.
A colpi di emendamenti più finalizzati a rimandare l’approvazione del decreto che ad arricchirlo con nuove proposte, siamo arrivati al mese di ottobre con un solo risultato: una pletora di buoni propositi e belle parole, principi retorici e concetti vaghi. In una parola: demagogia.
Questioni di lana caprina: sostituire la parola “dispone” con “definisce”, stabilire se le pubblicità sul gioco debbano essere vietate 20 o 30 minuti prima e dopo le “fasce protette”, per non parlare della famosa questione della distanza delle sale dai luoghi sensibili e di tante altre sottigliezze che somigliano troppo ad escamotage per prender tempo. Ad un osservatore esterno alla contesa l’impressione che deriva da tutto questo bailamme e che qualcuno cerchi solo di prendere tempo, per tutelare gli interessi di qualcun altro che tira i fili dietro le quinte.
Paranoia? Probabile. Ma una vecchia volpe della politica come Giulio Andreotti una volta disse “a pensar male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca”. Forse è un caso, ma la concomitanza di alcune proposte con l’accorpamento dell’AAMS all’Agenzia delle Dogane previsto dalla Spendig Reviw appare tanto tempestiva da risultare sospetta.
A fronte di un discutibile risparmio sulla spesa (c’è da chiedersi quanto sia conveniente sopprimere un ente fortemente in attivo), l’accorpamento avrebbe due conseguenze: 1) una minore capacità di controllo sulle infiltrazioni malavitose nel mondo del gioco, a causa della naturale incompetenza in materia dell’Agenzia delle Dogane e della prevedibile interruzione della fruttuosa collaborazione tra AAMS e Magistratura Antimafia; 2) una probabile minore attenzione e tutela per il mercato e gli operatori interni (e di conseguenza per i consumatori), a vantaggio di quelli stranieri.
Insomma c’è da temete una inversione di tendenza, rispetto all’ottimo lavoro fin qui svolto?
Un caso che proprio in questi giorni siano stati approvati emendamenti che penalizzano i network di gioco italiani, controllati e garantiti, a favore dei colossi internazionali che molto spesso dispongono di capitali di dubbia provenienza? Come già detto, a pensar male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca.
La realtà è che se la discussione continuerà a mantenersi su questi toni, quando il decreto verrà approvato, il testo finale avrà perso qualunque traccia dei principi di tutela, legalità e trasparenza che lo hanno ispirato, tradendo quelle malcelate volontà di speculare sul “vizio” degli italiani e sul lavoro delle aziende made in Italy.
Nella testa continua a riecheggiarmi una frase contenuta nel DL: “il Governo provvede alla ricollocazione delle macchinette tenendo conto degli interessi pubblici, ivi compreso il consolidamento del gettito erariale”. Potrebbe trattarsi di una semplice gaffe, ma personalmente credo si tratti dell’ennesimo scivolone con il quale il Governo ha tradito le proprie intenzioni e i reali interessi. Oggi la voce è sparita (un segno di colpevolezza?) grazie all’intervento di una delle poche menti lucide al lavoro sul decreto. Ma basta cancellare una un lapsus per eliminare un principio?