“Invece del resto, lo vuole un gratta e vinci?”

“Invece del resto, lo vuole un  gratta e vinci?”
Adria contro il gratta e vinci alle poste...

Quante volte ci siamo sentiti fare questa proposta alla cassa dell’Autogrill, dal tabaccaio, al supermercato o, addirittura, allo sportello postale, dopo aver pagato la bolletta della luce? E quanti di noi non hanno resistito alla tentazione di convertire un paio di miseri euro di resto, in un biglietto di sola andata per il paese della Fortuna? In fondo cosa sono un paio di euro, in cambio di un sogno, una speranza celata sotto la sottile superfice argentata che attende solo di essere grattata via? Poco importa che, dopo aver portato alla luce una combinazione deludente, il sogno svanisca con la stessa rapidità con cui era nato. Quegli spiccioli di resto non ci avrebbero comunque cambiato la vita.

E allora dov’è il problema? Cosa c’è di sbagliato nel vendere gratta e vinci alla cassa di un esercizio pubblico, di un ufficio postale, o con un distributore automatico piazzato all’uscita del supermercato, proprio accanto al deposto dei carrelli?

Che tutto ciò sia diventato normale. Ecco cosa c’è di sbagliato. Ci stiamo (ma sarebbe meglio dire “ci stanno”) abituando all’idea che svuotare le tasche delle fastidiose monetine che tintinnano ad ogni passo, che consumano e bucano le cuciture delle fodere, che si perdono nei meandri delle borse delle donne, e “capitalizzarle” nelle lotterie istantanee, sia una cosa del tutto naturale. Una lenta, progressiva assuefazione al messaggio pubblicitario, contro il quale nessuna avvertenza può essere efficace.

 

Vi sembra strano che proprio io, che lavoro per una società di gaming, affermi una cosa del genere? Beh, no, non lo è. Perché lavorare nel mondo del gioco non vuol dire auspicarsi che il mondo si riempia di ludopatici, così come un pasticciere non sogna un mondo di obesi. Mettere a disposizione del pubblico una piattaforma di gioco, un circolo, un club, ai quali si accede per libera scelta, secondo determinate regole, sotto stretti controlli, non è come piazzare “distributori di fortuna” nei luoghi dove bambini vanno con le mamme a fare la spesa, o con i papà a comprare il giornale.

 

La solita contraddizione all’italiana: se una studentessa fuori sede promuove una diversa marca di sigarette al fumatore che sta già acquistando un pacchetto di bionde dal tabaccaio, commette un reato. Se una cassiera, uno sportellista è costretto a proporre il resto della spesa o della raccomandata in gratta e vinci, non c’è nulla di sbagliato.

Allora il messaggio che passa, e che fa presa soprattutto sulle menti acerbe e ricettive di bambini e adolescenti, è che se la mamma compra i biglietti delle lotterie nello stesso luogo dove fa la spesa per la famiglia, non può esserci niente di male.

 

Siamo davvero convinti, quindi, che il problema del gioco d’azzardo siano le sale giochi, i circoli, i siti internet? Forse se smettessimo di fare gli ipocriti e cominciassimo a guardarci intorno con meno invidie e più senso critico, potremmo affrontare il problema del gioco compulsivo in modo costruttivo.

 

Come è successo ad Adria, Rovigo, dove le associazioni dei consumatori sono riuscite a vincere la battaglia contro i gratta e vinci negli uffici postali. Via i distributori, via le fisarmoniche in vetrina allo sportello, impiegati non più stressati da direttori preoccupati di raggiungere il budget, pensionati e casalinghe salvati dalle tentazioni.

 

Il gioco è un divertimento, giocare deve essere una libera scelta.

 

 

 

 

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