Suicida a 19 anni per aver perso al gioco: facili, scontati giudizi e reazioni…

Suicida a 19 anni per aver perso al gioco: facili, scontati giudizi e reazioni…

 

Difficile trovare le parole in questi momenti...

Quello del suicidio è un tema delicato, che non ci si aspetterebbe mai di dover trattare su un blog di poker sportivo. Dietro un gesto così estremo si nasconde sempre molto di più di quanto i media, gli psicologi, i familiari stessi possano comprendere e spiegare.

Per Alfieri il suicidio era un gesto eroico di ribellione. Per Goethe era l’atto di libertà più estremo che un uomo possa compiere. Secondo Fitzgerald, invece, non poteva che essere considerato una viltà, dalla quale si salvano solo gli esseri più nobili. Esaltato da Nietzsche, quando scelta cosciente fatta al momento giusto, condannato da Heidegger, perché contro natura.

Forse, più semplicemente, tutte queste cose messe insieme. Ma anche molto di più. Morire suicida a 19 anni per aver “sciupato i soldi al gioco” non può essere banalizzato, strumentalizzato, sensazionalizzato per vendere la notizia e riempirsi la bocca. Un gesto simile non può essere violentato dalla propaganda politica, o piegato alle logiche commerciali.

Io non sono Vittorio Alfieri, tanto meno Scott Fitzgerald. Non sono un analista che studia l’incidenza della crisi sul numero dei suicidi, tanto meno uno psicoterapeuta, che cerca di spiegarne le cause patologiche, per cui non mi azzardo a commentare una notizia del genere, non provo nemmeno a giudicare, interpretare o condividere il dolore provocato da questo gesto, le motivazioni che lo precedono. Ma sono una mente libera, scevra da pregiudizi morali e aborrisco tanto la demonizzazione, quanto la mitizzazione del gioco. Trovo parimenti spregevoli coloro che conducono campagne oscurantiste in nome di una moralità tutta da dimostrare, quanto chi esalta i tavoli verdi, creando falsi idoli, false aspettative, perché fino a quando esisteranno solo queste due correnti di pensiero, non ci sarà mai la via di mezzo. Quella della moderazione, dell’educazione al gioco sano, divertente, quella in cui il giocatore impara a coltivare le proprie passioni, ma non ne diventa schiavo.

Il poker non ha ucciso il 19enne, più di quanto Tangentopoli abbia ucciso Gardini, o i debiti tanti imprenditori finiti sul lastrico. Banalizzare le cause di un gesto così tragico è un’offesa alla memoria, all’intelligenza, al dolore di chi lo compie e di chi è costretto a convivere con i sensi di colpa.

Piuttosto ci si dovrebbe interrogare su cosa spinge un ragazzo così giovane ad entrare nel tunnel del gioco, a lasciarsi trascinare, sopraffare, fino a dissipare tutti i propri risparmi e decidere di farla finita. Bisognerebbe interrogarsi sui motivi veri del degrado sociale, che fiacca ulteriormente i più deboli, incrina i rapporti sociali, opacizza i valori e spinge a cercare facili soluzioni, pericolose “evasioni” dai problemi reali.

Ora mi si dirà: “parli proprio tu, che lavori per una società di gaming online, tu che ogni giorno spingi la gente a giocare, a spendere i propri soldi sui tavoli da poker!”

Sì, parlo proprio io. Io che sono responsabile di questa morte quanto te che leggi questo articolo. Quanto tutti coloro che non lo leggeranno, che metteranno un like “sulla fiducia” o non lo faranno affatto.

Perché siamo uomini liberi e, in quanto tali, siamo tutti responsabili dell’uso che facciamo della nostra libertà.

 

 

 

 

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